Di Andrea Caldart (Quotidianoweb.it) Cagliari, 4 luglio 2025 – Nel mese di giugno 2025, in Italia sono state immatricolate 132.191 autovetture. Un dato freddo, che però brucia: -17,44% rispetto a giugno 2024. Non è solo una flessione. È una diagnosi. E se allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, vediamo che il malato è l’intero mercato europeo. Le vendite calano ovunque, e non è un mistero il motivo. È una politica europea che ha forzato un’intera industria dentro una gabbia ideologica, dove l’auto elettrica è diventata l’unica via concessa per il futuro. Un futuro, però, che non esiste.
A partire dal 2035, l’Unione Europea ha deciso che non sarà più possibile vendere automobili con motori a combustione interna. Una decisione unica al mondo, presa come se il Vecchio Continente potesse da solo salvare il clima, ignorando volutamente la realtà industriale, economica e sociale in cui vivono milioni di cittadini. Un provvedimento calato dall’alto, il cui simbolo, volenti o nolenti, è sempre lei, Ursula von der Leyen.
Il mercato dell’auto elettrica non decolla non per ignoranza o per arretratezza culturale degli automobilisti europei, ma per una semplice, brutale constatazione: non c’è un mercato sufficiente. Le auto elettriche sono troppo costose, poco pratiche, con una rete di ricarica ancora insufficiente e tempi di rifornimento che rappresentano un salto indietro, non in avanti. È la tecnologia imposta nel momento sbagliato. E la risposta dei cittadini è sotto gli occhi di tutti: nessuno le vuole.
Non sono bastati incentivi miliardari, bonus, rottamazioni, agevolazioni fiscali. Il risultato è fallimentare, e non si tratta più di prospettive a lungo termine. Il tempo è finito. Il cambiamento promesso si è trasformato in un vicolo cieco.
Oggi i costruttori europei, ai quali bisognerebbe chiedere il perché si siano piegati a questa follia, sono costretti a produrre auto elettriche per un mercato che semplicemente non esiste. Il parco circolante in Europa è ancora dominato da motori termici, e non c’è, né ci sarà, una domanda reale in grado di sostenere questa transizione forzata. Il risultato? Catene di montaggio che si fermano, fornitori che chiudono, decine di migliaia di lavoratori lasciati a casa. Un’intera filiera industriale, dalla meccanica alla componentistica, sta crollando, travolta da una visione ideologica che ignora la realtà economica e sociale dei territori.
Stiamo assistendo, in diretta, a un suicidio industriale pianificato. È come se si pretendesse che tutti, d’un tratto, possano mangiare solo caviale, vietando pane e pasta: non è solo una follia economica, è un insulto alla vita quotidiana di milioni di persone.
L’auto elettrica, in questo scenario, non è più una promessa di progresso. È diventata un feticcio ecologico, vuoto, costoso e inutile. Doveva essere il cavallo di Troia della transizione verde, ma si sta rivelando il cavallo di legno del declino industriale europeo. Nessun altro continente ha scelto una via tanto radicale, tanto miope, tanto disastrosa. Nessuno, tranne l’Europa.
Mentre Stati Uniti, Cina, India e Giappone mantengono una visione pragmatica e flessibile, l’Unione Europea si ostina a correre da sola. Ma non verso il futuro: corre verso un burrone. E sotto quel burrone ci sono fabbriche chiuse, famiglie senza reddito, territori desertificati e un’industria che fu la spina dorsale del continente, ora costretta all’estinzione.
E tutto questo per inseguire un’utopia verde che non salva il clima, ma distrugge il lavoro.
La retorica della “zero emissioni” è pura illusione e nasconde un’altra verità scomoda: l’auto elettrica non è a impatto zero; anzi secondo recentissimi studi, l’intero ciclo è più inquinante delle emissioni di un motore termico. Infatti, le batterie richiedono materiali rari estratti in condizioni spesso insostenibili, i processi di produzione sono ad alta intensità energetica, e l’energia usata per la ricarica è ancora, in larga parte, prodotta da fonti fossili, anche perché quelle green, han già dimostrato di non essere in grado di poter reggere su vari fronti. Pensare di abbattere le emissioni globali semplicemente spostando le emissioni dallo scarico delle auto nei centri storici delle sole nostre città con l’auto elettrica, è un’illusione pericolosa, una stupidità progressista.
L’Unione Europea e i nostri governanti genuflessi, devono smettere di inseguire ideali astratti e iniziare a guardare i fatti. Oggi, dire che le auto costano troppo è diventato quasi un tabù, ma il vero messaggio sottinteso è un altro: non dobbiamo più possedere un’automobile. Un disegno elitario, quello delle smart city, penalizza lavoratori, famiglie, e chi vive fuori dalle grandi città e chi, semplicemente, ha bisogno di un mezzo per vivere dignitosamente, ma soprattutto perché non dovrebbe averlo?
Serve una svolta. Serve pragmatismo. Serve il coraggio di dire che questa transizione, così come è stata imposta, non funziona. E più si aspetta ad ammetterlo, più il conto sarà salato. Non solo per l’industria automobilistica, ma per tutta l’Europa.
E come direbbe Totò: L’auto ecologica? “Ma mi faccia il piacere”.