Climate Change. Non possiamo più attendere, dobbiamo invertire la rotta.

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Di Mita Valerio Roma, 9 febbraio 2023 (Quotidianoweb.it) – L’estate del 2022, come abbiamo potuto constatare, è stata la più calda della storia in Europa. Il mese di luglio, in particolare, ha fatto registrare 2,26 gradi centigradi in più rispetto alla media italiana dal 1800, anno da cui si registrano i dati.

In seguito a queste mutazioni del clima, molte specie stanno tentando in qualche modo di reagire al cambiamento: alcuni uccelli migratori stanno cambiando periodi di arrivo e di partenza anno dopo anno, ma non solo, anche le piante provano a riadattarsi, le fioriture stanno anticipando, le specie montane si spingono, finché possono, in alta quota.

Ormai da decenni la comunità scientifica, anche avvalendosi di modelli matematici sempre più accurati, ha descritto come le responsabilità di questi cambiamenti sia delle attività umane, a cominciare dall’uso massiccio dei combustibili fossili, in particolare a causa dell’aumento dei gas serra immessi nell’atmosfera. 

La concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha attualmente raggiunto livelli record. La concentrazione di CO2 provoca l’innalzamento globale della temperatura che a sua volta rende sempre più frequenti fenomeni estremi come le inondazioni, la siccità, il dissesto idrogeologico, la diffusione di malattie e l’estinzione di specie animali e vegetali. 

Non possiamo più attendere, dobbiamo invertire la rotta. Ma cosa possiamo fare concretamente? Negli ultimi decenni è aumentato a dismisura il consumo di carne e non ci rendiamo conto di quanto questo possa avere un impatto negativo sull’ambiente.

Prima di tutto, qualsiasi esso sia, ogni allevamento di animali, intensivo o meno, contribuisce al riscaldamento globale attraverso le emissioni che vengono prodotte, non solo durante l’intero periodo relativo all’allevamento, ma anche per la produzione dei mangimi, dalla deforestazione dei terreni per le coltivazioni e il pascolo, dal trasporto degli animali, dalla gestione delle deiezioni: praticamente tutte le attività che hanno a che fare con la produzione di proteine animali.

Secondo la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, le emissioni legate all’allevamento rappresentano circa il 15% delle emissioni annue di gas serra dovuti all’essere umano, ma secondo alcuni studi recenti si tratta di una stima al ribasso. Gli allevamenti intensivi inquinano, quindi, più delle auto.

Molti studi scientifici in campo climatico sottolineano l’importanza di una transizione verso l’alimentazione vegetale, quella con il potenziale di riduzione maggiore delle emissioni di gas serra. Infatti, secondo due ricercatori di Berkeley e Stanford University, se eliminassimo tutti gli allevamenti entro 15 anni e adottassimo quindi un’alimentazione vegetale, potremmo davvero riuscire a fermare l’aumento dei gas serra in atmosfera per 30 anni.

Il motivo per cui un allevamento intensivo inquina eccessivamente sta nella concentrazione, ormai diventata eccessiva, di un numero enorme di animali. Una vera e propria catena di montaggio, attraverso la quale gli animali vengono fatti riprodurre ciclicamente fino ad essere macellati per finire sugli scaffali di milioni di supermercati di tutto il mondo. 

La possibilità di allevare tanti animali in poco spazio ha dato vita così ad uno dei settori più redditizi ma anche più distruttivi. 

Oltre a emettere ingenti quantità di gas serra l’allevamento intensivo è legato ad esempio alla distruzione delle foreste come quella Amazzonica, che comporta la distruzione degli habitat di molte specie selvatiche e del furto della terra delle popolazioni indigene. Secondo una stima, tra il 2016 e il 2020, la domanda di terreni in Amazzonia, nel sud-est asiatico e in Africa centrale da destinare alla produzione di soia, carne bovina e altri prodotti ha contribuito alla perdita di circa 23 milioni di ettari di foreste tropicali: un’area grande quasi quanto tutto il Regno Unito.

Anche l’uso diffuso di farmaci è un fattore che comporta problemi ambientali: la contaminazione delle acque e dei terreni con questi residui rappresenta una minaccia sia per l’ambiente che per la salute umana. 

Bisogna inoltre tener presente il consumo di acqua (risorsa fondamentale e sempre più scarsa) necessario agli allevamenti. Qualsiasi prodotto di origine animale ha certamente un fabbisogno idrico molto più elevato rispetto ai prodotti vegetali. 

Infine, le deiezioni: gli animali allevati intensivamente producono elevate quantità di deiezioni molto inquinanti, ricche di azoto, fosforo e potassio. Questi rifiuti, quando vengono dispersi nei terreni circostanti o smaltiti illegalmente, possono rappresentare un problema sanitario e inquinare il suolo e le fonti idriche. 

Ognuno di noi si deve sentire parte attiva nella lotta al cambiamento climatico. Indubbiamente il risparmio dell’energia è uno dei primi passi, non basta infatti che i governi e le nazioni promuovano programmi di riconversione della produzione energetica, abbandonando progressivamente i combustibili fossili verso le fonti energetiche rinnovabili. 

Dobbiamo comprendere l’importanza che ha la nostra stessa alimentazione, facendo delle scelte più consapevoli e capire, quindi che il ruolo di ognuno di noi è cruciale se vogliamo invertire la rotta di questa “nave” o rischiare di affondare in un futuro neanche così lontano

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