Di Eva Bergamo (Quotidianoweb.it) Roma, 13 febbraio 2025 – La prima scoperta arriva dall’Australia, dove nel 2023 un team di ricercatori del Garvan Institute of Medical Research ha individuato un gruppo di cellule cerebrali che aumenta l’appetito anche quando c’è un eccesso prolungato di energia nel corpo, in presenza cioè di un accumulo eccessivo di grasso, condizione tipica dell’obesità. Gli scienziati hanno capito che queste cellule oltre a produrre la molecola NPY (neuropeptide Y) che stimola l’appetito, rendono anche il cervello più sensibile alla molecola stessa, aumentando ulteriormente la sensazione di fame.
In una situazione di normalità, se l’energia che assumiamo è inferiore a quella che spendiamo, il nostro cervello produce livelli più alti di NPY in modo da farci aumentare l’introito energetico tramite il cibo; viceversa, quando l’apporto energetico supera la spesa, i livelli di NPY diminuiscono e avvertiamo meno fame. Questo meccanismo però si inceppa nel caso l’eccesso di energia sia prolungato, come succede con l’abbondanza di grasso corporeo nel paziente obeso; quindi, in questo caso l’NPY continua a stimolare l’appetito anche a bassi livelli. Questo spiega il meccanismo che induce le persone in sovrappeso a mangiare di continuo.
Analizziamo ora un altro studio che arriva dagli Stati Uniti, finanziato dal NIH – National Institutes of Health di Bethesda (Maryland) e realizzato dal Columbia University Irving Medical Center di Manhattan, che ha recentemente rivelato la presenza nel tronco encefalico di cellule specializzate, capaci di controllare la quantità di cibo ingerito e inviare segnali al sistema nervoso centrale, indicando al cervello quando interrompere l’assunzione di cibo.
Grazie a nuove tecniche di profilazione molecolare monocellulare, i ricercatori hanno potuto analizzare specifiche regioni del cervello e distinguere dei tipi di cellule che prima erano difficili da identificare. Questa tecnica ha permesso di individuare e localizzare i neuroni specializzati nel tronco encefalico, la struttura che collega il cervello al midollo spinale e controlla funzioni vitali e sensoriali; in pratica una sorta di stazione emittente dei messaggi che partono e che arrivano al cervello. Racchiude molte importanti strutture nervose ed è responsabile per l’attenzione, la vigilanza, l’eccitamento, il respiro, il battito cardiaco, la pressione sanguigna e il loro controllo.
Grazie alla capacità di canalizzare nel cervello dati e segnali condivisi dai nervi periferici e dal midollo spinale, questa struttura regola anche altre funzioni di tipo involontario, come la digestione, la salivazione, la sudorazione, la dilatazione o il restringimento delle pupille e la minzione. Nella regione del tronco encefalico conosciuta per l’elaborazione di segnali complessi, sono state quindi individuate queste cellule – precedentemente non riconosciute – che avevano caratteristiche simili ad altri neuroni coinvolti nella regolazione dell’appetito.
Era infatti già noto agli studiosi che ci sono alcuni circuiti nel cervello umano che svolgono un ruolo nel monitoraggio dell’alimentazione, ma la novità è che non sono i neuroni di quei circuiti già noti a prendere la decisione finale se interrompere o meno un pasto. Le cellule appena identificate sono un elemento nuovo e, come abbiamo detto sopra, si trovano nel tronco encefalico, che rappresenta la parte più antica del cervello di tutti i vertebrati; questo apre la strada a nuove tipologie di trattamenti, soprattutto per curare i pazienti con importanti problematiche legate al peso e alla struttura corporea.
Alexander Nectow, il medico, biomedico e neuroscienziato che ha guidato la ricerca, spiega che “Questi neuroni sono diversi da qualsiasi altro coinvolto nella regolazione della sazietà. Altri neuroni sono solitamente limitati a percepire il cibo che mettiamo in bocca, o come il cibo riempie l’intestino, o il nutrimento ottenuto dal cibo. I neuroni che abbiamo trovato sono speciali in quanto sembrano integrare tutti questi diversi pezzi di informazione e altro ancora“.
Quindi, chiariscono gli scienziati americani, questi neuroni “possono sentire l’odore, vedere il cibo, sentirlo in bocca e nell’intestino, interpretare gli ormoni intestinali e indurre lo stop all’alimentazione“. Ora le ricerche proseguono, il prossimo passo è quello di approfondire gli studi e capire come queste cellule riescano a comunicare con altre aree del cervello, in particolare l’ipotalamo, un concentrato di nuclei nervosi, che tra le altre cose si occupa di regolare il circuito fame – sazietà. Conoscere e comprendere meglio questi segnali potrebbe portare allo sviluppo di nuovi farmaci capaci di stimolare o inibire l’appetito in modo mirato.
Le implicazioni di queste ricerche sono senza dubbio rilevanti e promettenti per il trattamento di patologie come obesità, bulimia e anoressia, offrendo nuove strategie per regolare il comportamento alimentare in modo più rapido e soprattutto più efficace rispetto alle terapie attuali.
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