Di Guendalina Middei 2 settembre 2022 (Quotidianoweb.it) – A quanto pare sì, in Europa siamo secondi solo alla Turchia. Cosa s’intende per analfabetismo funzionale? Un analfabeta funzionale non è in grado d’interpretare correttamente un testo.
Ma qual è il colpevole di questo fenomeno?
La televisione è la prima “sospettata” a sedere nel banco degli imputati. È vero, la televisione è lo specchio della società.
Se i programmi spazzatura ottengono un grande successo, è lecito supporre che la maggioranza dei telespettatori apprezza il demenziale, lo ricerca.
Il simile attrae il simile. E la televisione non solo riflette ma al tempo stesso concorre nel creare la mentalità di una società: esercita un’Influenza che non sempre è facile contrastare specialmente se tale condizionamento opera non su una mente matura ma su una mente in fase di sviluppo che, quando famiglie e scuola sono assenti, troverà nella televisione i propri modelli.
Il secondo imputato è Internet.
L’uso prolungato d’internet intacca la memoria, indebolisce l’attenzione. Come? Troppi stimoli, troppe informazioni, troppi siti da cliccare hanno ridotto a pochi minuti appena l’attenzione che l’utente medio dedica a una notizia prima di passare ad altro.
Abbiamo quindi un popolo tendenzialmente distratto, disattento, superficiale, cresciuto con modelli televisivi che della superficialità e della stupidità ne hanno fatto un vanto. Uno spettacolo.
Ma la scuola non avrebbe dovuto formare ed educare le giovani menti?
Eccolo, l’insospettabile imputato che è stato complice dei media e colpevole dell’analfabetismo funzionale: lo studio.
O più precisamente un metodo di studio. Istruzione e cultura, occorre ricordarlo, non sono la stessa cosa.
Se per istruzione intendiamo un mero accumulo di dati, un’imposizione dogmatica di idee e concetti, quest’ultima è dannosa per la stessa intelligenza.
“Cultura”, come aveva ben compreso Gramsci, “Non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini”.
L’alunno però spesso si accosta a un testo in modo passivo, limitandosi a “imparare” ciò che vi è scritto, senza mai porsi domande, dubbi, senza mai mettere in discussione le “verità” che vi sono riportate.
E quest’atteggiamento permane anche al di fuori del sistema scolastico: la realtà sociale, politica, culturale, economica, frutto di contingenze momentanee, storiche, ideologiche, viene data per assoluta, come qualcosa d’immutabile.
Non vi è più lo stimolo, neppure immaginativo, per metterla in discussione, con grande compiacimento del potere.
Chi è stato abituato a memorizzare soltanto dati e nozioni, quando si approccerà a un libro, a un articolo, a un programma televisivo non avrà la capacità di formarsi un’opinione, di separare le faziosità, le speculazioni dai fatti più obiettivi ma si limiterà a ripetere ciò che ha letto/udito.
Perdere la capacità di pensare in modo critico, significa diventare passivi, individui facilmente manipolabili dai demagoghi di turno che sfruttano l’analfabetismo funzionale del loro uditorio per acquisire consensi.
Quando gli uomini sono fragili, intellettualmente parlando, perché non sono abituati a pensare, ma assorbono acriticamente ciò che viene detto loro, quando appunto il tessuto sociale e culturale è fragile, là nasce la propaganda.
Per arginare l’analfabetismo funzionale occorre ripartire dalla scuola. Dal modo d’intendere lo studio.
Lo studio non deve essere visto come una massa informe di dati da memorizzare in modo acritico.
Un insegnante deve trasmettere la passione per ciò che insegna, “contagiare” i suoi alunni, ma ciò è possibile soltanto quando una materia viene insegnata non in modo nozionistico, ma quando l’alunno si sente direttamente coinvolto in ciò che apprende perché percepisce che la storia, la filosofia, la scienza sono strumenti per comprendere chi siamo, i nostri sentimenti, il modo in cui si è evoluta la società.
L’apprendimento, ce lo rammenta Platone, avviene per via erotica.
Lo studio, infatti, non è una sistematica ed arida assimilazione di nozioni, ma un atto di amore.
Questa riflessione oggi stupisce, se pensiamo all’attitudine svogliata e fatalista dello studente che si accinge a compiere quello che percepisce come un dovere.
Nel mondo antico la “scuola” (dal greco “scholè”, equivalente latino di “otium” agio, riposo) era il tempo in cui ci si riposava dalle fatiche della vita quotidiana per dedicarsi alla riflessione.
Gioverebbe alla scuola moderna recuperare il senso di questa etimologia.
Fare dei giovani non dei “contenitori da riempire ma dei vasi da accendere”.