La battaglia, purtroppo, è persa in partenza.
Il rischio si rinviene nel fatto che il Governo della Repubblica, il quale aveva presentato il disegno di legge, si possa trovare nella condizione di doversi difendere in una possibile procedura di infrazione. Infatti, sebbene la proibizione sia in sé condivisibile, essa stride con il principio della libera circolazione delle merci nel territorio dell’Unione Europea. Questo significa che se, ai sensi del regolamento UE n. 2283/2015 del Consiglio dei Ministri dell’Unione e del Parlamento europeo in vigore dal 01 gennaio 2018, venissero immessi nel mercato comunitario alimenti ricadenti nel divieto di cui alla legislazione italiana, la normativa interna non potrà essere applicata in virtù del primato del diritto UE (sentenza n. 170/1984 Corte cost.). E la non applicazione non è solo di competenza dei giudici, ma di tutti gli organi della Pubblica amministrazione.
Il nostro Paese, inoltre, ha notificato il testo alla Commissione europea solo a conclusione del procedimento legislativo (e non all’inizio dell’iter come sarebbe stato più opportuno sebbene non vi sia, a riguardo, un vincolo giuridico) nell’ambito del cosiddetto “procedimento Tris”, di cui alla direttiva UE n. 1545/2015 recepita in Italia con il d.lgs. n. 223/2017, che ha lo scopo di avviare un dialogo tra lo Stato membro e la Commissione funzionale ad evitare l’insorgenza di ostacoli nel mercato interno.
In attesa, dunque, di un pronunciamento a livello comunitario (entro 90 giorni, ma i tempi potrebbero allungarsi), la legge approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica non produce effetti giuridici.
Se, in caso contrario, venisse comminata una sanzione, il destinatario potrebbe rivolgersi ai giudici italiani per ottenerne la non applicabilità. Peraltro, il testo legislativo proibisce qualcosa che, al momento, è già vietata nel territorio dei ventisette Stati membri dell’Unione Europea, non essendoci alcuna autorizzazione all’immissione o alla vendita di carne coltivata.
Ne consegue che il richiamo, nell’art. 2, al principio di precauzione, contenuto nel regolamento CE n. 178/2002 è assolutamente irrilevante. Qualora, invece, si pervenisse ad un provvedimento autorizzatorio, la legge italiana non sarebbe applicabile per le ragioni sopra indicate.
Il vero problema continua ad essere il vincolo esterno che questo Esecutivo non pone, nonostante gli “strali meloniani” dai banchi dell’opposizione parlamentare ante elezioni politiche del settembre 2022. Un’altra storia, un’altra epoca…
(*) Autore – prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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