Nutrire il futuro: l’acqua come fonte dell’agroalimentare

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Stoccare l’acqua vuole dire trattenerla all’intero di invasi quando c’è, per distribuirla tramite reticolo idraulico quando serve. Un concetto chiave per il settore agroalimentare, che sulla disponibilità di acqua, programma annate e ottimizza le risorse garantendo una produzione sostenibile del cibo che arriva sulle nostre tavole. 

A parlarcene è il presidente del Consorzio di Bonifica di Piacenza Luigi Bisi che parte parlando della Val Tidone, uno dei territori più fertili della provincia: “E’ un territorio molto fortunato perché a monte ha una diga (Molato, in comune di Alta Val Tidone) con un volume autorizzato di circa 8 milioni di metri cubi d’acqua e quindi la possibilità di avere una scorta di risorsa irrigua e utile alla produzione di energia. A valle è poi presente un impianto di sollevamento da Po (Pievetta in comune di Castel San Giovanni) che garantisce risorsa per poter approvvigionare l’areale anche quando non c’è acqua in diga.” 

Quest’anno, visto il raggiungimento del massimo livello, la diga è stata collaudata. “Abbiamo aspettato due anni perché non c’era acqua sufficiente. E senza acqua la capacità produttiva del territorio è compromessa.”

L’estremizzazione degli eventi atmosferici – con l’alternarsi di periodi di prolungata siccità ad altri ricchi di piogge talmente intense da andare oltre al massimo della capacità del reticolo idraulico e della saturazione della capacità di campo – influisce negativamente la produttività e sulla qualità dei raccolti. È questo l’estremo opposto a cui stiamo assistendo nel 2024.

La parola ad alcuni tra gli agricoltori della Val Tidone.

Matteo Mazzocchi (az. Agricola “Casa Bianca”): “La mia è un’azienda zootecnica e si sviluppa su 175 ettari. Coltiviamo mais, frumento, prati ed erba medica. Le fonti irrigue sono la diga del Molato e, quando necessario, il Po. Le ultime due annate sono state critiche in quanto la diga era bassa di volume per la scarsità delle piogge. Ci siamo dovuti appoggiare al sollevamento da Po. L’acqua è alla base dello sviluppo delle mie colture e soprattutto del mais con il quale alimento la stalla per la produzione del latte che trasformo in Grana Padano”.

Giampiero Silva (az. agricola “Silva”): “Produco principalmente pomodoro, cipolla e grano. L’acqua ci viene distribuita dal Consorzio. Non abbiamo pozzi aziendali. Il pomodoro senza acqua diventa un prodotto da scarto che le aziende di trasformazione non ritirano. La cosa fa più paura all’industria è proprio questa cicca che si forma nei pomodori non irrigati.”

Luca Scrocchi (az. Agricola “Casata Rustica”)

“La mia azienda agricola è di circa 35 ettari con colture esclusivamente biologiche, principalmente di pomodoro, fagiolo, aglio, cipolla e zucca. Ci sono annate dove piove talmente tanto che non riesci neanche ad entrare nei campi con la trapiantatrice, mentre ce ne sono altri dove non c’è acqua e va usato il rotolone per distribuire la risorsa disponibile in modo omogeneo su tutta l’area coltivata per poi trapiantare. L’importanza di avere uno stoccaggio ti permette di riuscire a gestire meglio il ciclo colturale. Sarebbe importante avere più fondi per la creazione di invasi.”

Giorgio Ferrari (az. Agricola “Ferrari Silvano & Giorgio”)

“Produciamo pisello, pomodoro, mais, colture foraggere ecc. Lo scorso anno l’acqua che ci è stata distribuita dal Consorzio è arrivata quasi tutta dal Po e il costo per il sollevamento è stato importante. Ma è comunque un costo minore rispetto al non averla. La disponibilità dell’acqua è una questione strategica che ricade sullo sviluppo dell’azienda e a cascata su clienti, dipendenti ecc sia attuali sia futuri. Se una coltura non sta in piedi cade tutta la filiera.”

È poi sulla Val Trebbia che il presidente del Consorzio Luigi Bisi fa una riflessione perché si tratta di un territorio dove, dal punto di vista delle opere idrauliche, la situazione è ben diversa: “grande nota dolente è quella del Trebbia che rimane una valle sguarnita di opere per lo stoccaggio dell’acqua. Qui infatti non abbiamo dighe (se non Brugneto che però è in regione Liguria) e invasi. Negli ultimi mesi abbiamo visto transitare delle piene che sarebbero sufficienti per dieci anni di irrigazione, ma l’acqua non trattenuta è perduta e quindi consumata e regalata al mare. Rimane l’amarezza che può essere compensata solo con opere ed invasi. È urgentissimo occuparci di questa valle.”

Non va dimenticato, poi, che il territorio che abitiamo è antropizzato e infrastrutturato e che, nei millenni, l’uomo si è attrezzato per vivere costruendo le opere idrauliche necessarie. Conclude Luigi Bisi: “penso sia giusto mantenere la posizione dell’uomo centrale nelle scelte seppur senza dimenticare l’importanza della natura e dell’ambiente. Quello che le generazioni prima della nostra sono riuscite a mettere in pratica è frutto di studio, di analisi e di scelte coraggiose. Scelte che prima di essere prese potevano quasi sembrare utopistiche. Penso ad esempio al Traversante Mirafiori, costruito nell’800 a Rivergaro secondo il progetto di Cesare Valerio indicato da Camillo Cavour. Penso poi ai Benedettini che, con audacia, costruirono fondamentali opere di canalizzazione. E, insieme alla progettazione delle nuove opere, dobbiamo continuare la gestione e manutenzione delle infrastrutture già presenti e dobbiamo farlo con impegno e coscienza, ognuno per la propria parte”.

Link Video interviste: https://youtu.be/2eNaX9AaO4Q

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