Di Giulia Bertotto Roma, 29 gennaio 2023 (Quotidianoweb.it) – Per parlarne, in questi giorni di giubilo ma anche di dubbi, abbiamo scelto di intervistare due giornalisti che se ne sono occupati a fondo, Simona Zecchi e Marco Bova.
Simona Zecchi è giornalista investigativa. È autrice di libri inchiesta sui casi Pasolini e Moro acquisiti da autorità giudiziarie anche di recente, di esclusive su Falcone e Borsellino e collabora con testate nazionali e internazionali (Euronews, BBC, Report, Il Fatto Quotidiano, TPI tra le altre).
Zecchi ha curato e collaborato alla stesura del saggio d’inchiesta di Marco Bova, Matteo Messina Denaro latitante di stato Magistratura, Forze dell’ordine, Massoneria: tutta la verità sulle piste affossate (Ponte alle grazie 2021).
Marco Bova è giornalista freelance e videomaker, ha collaborato per AGI (Agenzia Italia), ilFattoquotidiano.it, anche lui collabora con Report e ora scrive anche per il quotidiano La Verità e il settimanale L’Espresso.
Autore e regista di documentari (ricordiamo Berlusconi. La Genesi, 2011, Ciè Business, 2013, Ciapani. Trapani senza marketing, 2017, e La forza delle donne, 2018), ha pubblicato articoli su numerose testate italiane e internazionali.
Dottoressa Zecchi, l’arresto del boss Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza è stato annunciato dalle istituzioni, dal governo e dai media, come il trionfo della legalità sulla criminalità organizzata, come la vittoria della Giustizia su Cosa Nostra. Tuttavia, il pesce grosso si nascondeva nella tana accanto al pescatore, è quasi sempre rimasto nella sua terra, protetto dalla sua gente. Il messaggio che dobbiamo comprendere è l’opposto, ossia che non è stata la Legge a catturarlo ma Cosa Nostra a consegnarlo? Insomma, sarebbe stato pensionato, in altri termini: “vi offriamo in sacrificio un anziano malato ma il sistema è più vivo che mai”.
È presto per trarre conclusioni, però vorrei mettere in fila alcuni fatti: Matteo Messina Denaro è stato oggetto per trent’anni di indagini volte alla sua cattura a cui hanno lavorato stimabili professionisti delle forze dell’ordine e onorevoli servitori dello Stato, alcuni dei quali hanno perso la vita (o la carriera) per questa missione. Un nome su tutti, quello del maresciallo Filippo Salvi.
Salvi nel 2007, mentre cercava di apporre una microspia in bilico su di un burrone per intercettare uno dei massimi favoreggiatori di Messina Denaro, -il cognato Filippo Guttadauro- è caduto ed è morto.
A oggi la sua morte non è stata oggetto di indagine o verifiche, ne dà conto Bova nel libro.
Fino a poche settimane fa, la stessa area-covo dove si trovava il latitante era stata setacciata per altri blitz contro i suoi favoreggiatori.
I toni entusiastici -anche se comprensibili all’impronta- suscitano delle riserve: stride un po’ questa cattura nel cortile di casa per così dire.
Vorrei ribadire che Messina Denaro non è “sempre” rimasto in Sicilia, come anche indicato dal procuratore di Palermo De Lucia che con l’Arma si è occupato della cattura, il boss si è spostato più volte in questi anni anche fuori dal territorio nazionale, come ad esempio in Venezuela.
Ma non solo. È molto probabile però che per via delle sue condizioni di salute solo negli ultimi tempi sia stato più tempo in Sicilia.
Durante l’arresto Messina Denaro è apparso alle telecamere come un uomo mansueto, che ha accettato il proprio destino. E senza manette. Questo è anomalo e comprensibilmente ha fatto molto discutere. È una forma di riguardo nei suoi confronti?
Il comandante del Ros Angelosanto, durante la conferenza stampa a Palermo svolta in presenza della Procura, ha affermato che le manette non sono state apposte per lanciare un messaggio democratico: la legalità è democratica, a differenza della mafia, ci mancherebbe.
Però non si può ignorare il fatto che il suo favoreggiatore e autista, Luppino, arrestato nello stesso frangente, avesse invece le manette. Dall’esterno questa disparità può sembrare ambigua.
Che dire? Possiamo salutare con orgoglio la conferma di trovarci in una democrazia…
Lo aspetta il 41 bis, dunque il carcere duro, sempre in isolamento, anche nelle limitate ore d’aria. Tuttavia, Matteo Messina Denaro ha nominato suo avvocato di fiducia la nipote, Lorenza Guttadauro.
Messina Denaro è stato subito tradotto nella Casa Circondariale dell’Aquila perché è l’unico carcere di massima sicurezza che permette le cure oncologiche di cui ha bisogno con una struttura apposita lì vicina.
Ecco un’altra prova importante del nostro ordinamento democratico.
In questo penitenziario ci sono altri esponenti della malavita e del terrorismo (in questo caso rosso).
Il 41 bis prevede diverse limitazioni nei colloqui, nelle telefonate e nella corrispondenza.
Lo scopo è quello di eliminare i contatti con l’esterno inteso come organizzazione criminale o terroristica.
Il cosiddetto “carcere duro” nasceva infatti proprio in seguito alle stragi di matrice mafiosa al fine di impedire che i boss potessero dare direttive dalla cella verso l’esterno.
Non tutti i boss si trovano in questo regime detentivo, dipende dai reati commessi, ma anche dalla personalità e dalla caratura criminale.
E non ultimo fattore, dalla volontà di collaborare: tema che oggi con l’ergastolo ostativo è divenuto politicamente scottante.
Tuttavia, credo che l’uomo che detiene ogni segreto sulle stragi del 1992-94 non collaborerà.
Almeno è quanto da lui affermato in queste ore: “Non mi pento”. Poi vediamo.
Lorenza Guttadauro figlia della sorella del boss, Rosalia Messina Denaro, e del cognato Filippo Guttadauro, condannato a 14 anni per associazione mafiosa.
Molti esponenti della famiglia Guttadauro hanno avuto problemi con la giustizia, perfino il marito dell’avvocata, Girolamo Bellomo, detto Luca, condannato in appello a 10 anni.
Il problema, lo hanno spiegato bene i colleghi de La Stampa il 21 gennaio scorso, è che in questo modo verrebbe a crearsi una falla nel sistema stesso del 41bis.
Può un parente stretto della famiglia esimersi magari di poter passare messaggi all’esterno?
Chi è Salvatore Baiardo? Oggi si parla di lui come di un profeta.
Il “pentito” Salvatore Baiardo ha raccontato prima ai microfoni di Paolo Mondani di Report e di Giletti su La7 poi, una versione “anticipata”, un po’ diversa della dinamica oggi resa pubblica di queste catture.
Di recente sul Fatto Quotidiano ha anche affermato che le forze dell’ordine sarebbero intervenute pubblicamente 10 giorni dopo la reale cattura.
Certo lì per lì sembra una boutade, ma lo sembrava anche a novembre scorso quando anticipò appunto la cattura da lì a due mesi. Vediamo.
Baiardo è stato l’autista dei fratelli Graviano, (anch’essi al vertice della componente che ha organizzato le stragi in Sicilia a Roma Milano e Firenze negli anni 1992-1994 e per questi fatti condannati) li accompagnava soprattutto al Nord dove si muovevano e abitavano, e dove sono stati arrestati (Milano 1994).
Baiardo ha anche visto Messina Denaro de visu, secondo quanto rivelato ai media in alcuni degli incontri con i Graviano.
Inoltre, ha detto molte altre cose, è una figura più complessa di un pentito tout court, anzi lui stesso non ama definirsi tale: si può definire giornalisticamente un intermediario, che avanza delle informazioni sapendo che può farlo.
Le sue dichiarazioni molto tempo fa erano state confermate da organi investigativi. Qualcuno lo definisce “avvelenatore di pozzi”, quindi un depistatore, ma in realtà appunto la sua figura è complessa. Dipende anche come viene utilizzata questa “fonte” mediaticamente e non solo.
In particolare, a novembre 2022, nel programma di approfondimento. Non è l’arena ha rivelato in modo inequivocabile e adamantino che dopo due mesi Messina sarebbe stato catturato, “perché c’è un accordo ed è malato” disse, ed eccoci qui.
Certo sull’accordo, bisogna provare che ci sia stato. Ma anche sulla cattura di Provenzano i sospetti in questo senso, per quanto mai divenuti conferma in termini investigativi e giudiziari, a oggi e a tanti anni dalla cattura (2006) restano tali. Ne scriviamo in maniera del tutto inedita in Latitante di Stato.
Abbiamo visto il selfie con il medico, abbiamo letto della signora che testimonia come lo incontrasse in modo ricorrente. Questi elementi ci offrono anche una panoramica socio-culturale sull’habitat di omertà in cui ancora cresce lussureggiante la mafia.
La foto che è comparsa su tutti i quotidiani è stata pubblicata in esclusiva da Marco Bova e pubblicata sul quotidiano La Verità con il collega Fabio Amendolara.
Inizialmente il volto del medico era apparso oscurato perché non pregiudicato, ma ora risulta indagato; tuttavia, non possiamo escludere che non conoscesse il boss visto che Matteo Messina Denaro si era presentato con una falsa identità, tale Andrea Bonafede: persona ora indagata che ha invece cominciato a parlare.
La maggior parte degli italiani, e va da sé dei siciliani, è sinceramente felice di questo arresto; tutti esultano poi per il valore simbolico e di giustizia che questa operazione ha significato. È giustissimo.
Tuttavia, è impossibile non constatare che in questi 30 anni Matteo Messina Denaro abbia beneficiato di coperture a tutti i livelli alti e bassi e del clima di omertà della gente comune oltre che di coloro i quali erano a lui vicinissimi.
Una rete di protezione altissima quella che però ha davvero contato e che va cercata soprattutto, ma non solo, nell’ambiente massonico, politico (locale e nazionale) e imprenditoriale, oltre che criminale.
Come accennato, lei ha curato e collaborato alla stesura del saggio d’inchiesta di Marco Bova, (Ponte alle grazie 2021) Matteo Messina Denaro latitante di stato Magistratura, Forze dell’ordine, Massoneria: tutta la verità sulle piste affossate. Il libro non solo mette in evidenza le falle e gli errori ma anche gli intricati interessi che hanno fatto durare questa caccia per ben trent’anni.
Sì per Ponte alle Grazie, che è parte del Gruppo Gems, e per il Responsabile della collana Vincenzo Ostuni, curo come collaboratrice esterna alcuni lavori di inchiesta.
La casa editrice grazie, proprio a Ostuni, ha da tempo sviluppato un alto livello di qualità in questo campo e su diversi temi di inchiesta con diversi autori soprattutto giornalisti e giornaliste che seguono o si occupano di casi o tematiche specifici.
Il mio primo libro inchiesta e anche l’ultimo, sul caso Pasolini, entrambi acquisiti dalla Commissione Antimafia della passata legislatura (Massacro di un Poeta e L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, 2015 e 2020) sono editi da Ponte alle Grazie.
È una delle poche case editrici presenti nel panorama editoriale che ha il coraggio di fare inchiesta pura, rispettando allo stesso tempo un’alta qualità di scrittura.
Seguire il lavoro altrui per quello che mi riguarda è come trasmettere in parte un proprio metodo e proseguire tessendo un filo rosso nella ricerca delle tante verità che mancano in questo Paese.
Latitante di Stato è un testo rigoroso, molto scomodo, diverso da quelli che si trovano in circolazione sul tema finora, che spiega perché questa cattura è avvenuta solo il 16 gennaio 2023.
Bova spiega magistralmente come il mondo massonico, la costellazione politica e imprenditoriale che ruotano intorno al boss abbiano protetto e reso difficilissimo e pericolosissimo il compito degli investigatori.
Il libro è poi soprattutto il racconto dettagliato delle piste affossate per catturarlo.
La ex Pm Teresa Principato, il cui lavoro è stato ostacolato come Bova racconta bene, ha sempre parlato di quanto certi livelli di massoneria siano stati decisivi per la sua protezione e di recente è anche emersa la presenza di una loggia massonica specifica che si è andata a sostituire alla P2, il cui nome sarebbe La Sicilia, della quale Messina Denaro sarebbe affiliato.
Stessa cosa è emersa per la ‘ndrangheta, terra in cui anche Messina Denaro ha trovato protezione, una loggia che ha preso il posto della P2.
Chi sono i politici coinvolti? Può farci qualche nome?
L’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Alì, le cui terre venivano gestite dal padre di Matteo Messina Denaro, Francesco è uno di questi, un nome importante.
D’Alì è stato sottosegretario al governo Berlusconi fino al 2009, e senatore della Repubblica per lungo tempo nel PDL.
È stato condannato e pochi giorni fa si è costituito in carcere.
Un altro nome meno altisonante ma ugualmente importante è quello di Alfonso Tumbarello, massone e medico di Denaro, che si è candidato più volte in alcune circoscrizioni della Sicilia e come sindaco alle comunali del 2011.
Anche lui massone, sospeso dal Grande Oriente d’Italia dopo l’indagine, dopo le vicende che lo hanno visto coinvolto all’indomani della cattura del boss.
Di Tumbarello, come ha rivelato Report nella puntata di ieri 23 gennaio, attraverso la collaborazione di Marco Bova, si conosceva la vicinanza al boss già 10 anni fa quando un collaboratore del Sisde dell’ex generale Mario Mori (il nostro servizio di sicurezza civile oggi chiamato AISI) l’ex sindaco Antonio Vaccarino, morto di covid nel 2021, durante una udienza di un processo che si tenne a Marsala e che lo riguardava.
Vaccarino, anche lui massone, di cui nel libro descriviamo ruolo e retroscena che lo riguardano, era in contatto con Tumbarello a sua volta in contatto con il fratello del latitante. A lui si poteva arrivare già 10 anni prima. Non lo si è fatto.
Ma di questi e altri fatti il libro è pieno e oggi potrebbero essere studiati per capire molte cose anche a livello investigativo che riguardano il dopo-cattura.
Dottor Marco Bova, come ha lavorato concretamente per poter svolgere le sue preziosissime e rischiosissime indagini? Qual è il cuore di questo lavoro?
Questa è un’inchiesta che nasce dai marciapiedi, dai corridoi della Procura, dalle campagne del trapanese, luoghi in cui sono nati gli interrogativi su questa lunga caccia a Matteo Messina Denaro.
Io ho svolto un lavoro il cui approccio è quello della cronaca quotidiana e della cronaca giudiziaria, ho provato a raccontare il territorio più prossimo a Messina Denaro ma ad un certo punto ho avuto l’impressione di vivere in una montatura, una specie di impostura, perché ad ogni blitz -nonostante solenni annunci- quasi non trovava alcuna aderenza reale con la latitanza del boss.
Per cui ho cominciato a mettere insieme una contro storia che è diventata l’inchiesta riportata nel libro. Il cuore di questo lavoro è nei rapporti che si sono creati tra la Procura di Palermo e le forze investigative, soprattutto in una fase in cui due magistrati che stavano coordinando le indagini, sono stati processati, insieme ad un finanziere: Teresa Principato, Marcello Viola e Carlo Pulici.
Le conseguenze delle investigazioni su questi tre soggetti è stata la chiusura dell’indagine che nel frattempo la Procura di Palermo aveva aperto e condotto sulle presunte protezioni da parte delle logge massoniche in favore di Messina Denaro.
Una storia inquietante dato che l’altro filone delle indagini, che si svolgeva intanto a Trapani, è diventato un blitz; e ora è in corso il secondo processo della storia, (sempre a Trapani) per violazione della Legge Anselmi, in cui il principale imputato è un ex deputato della commissione antimafia Giovanni Losciuto, il quale nelle intercettazioni si definisce amico d’infanzia di Messina Denaro.
#MatteoMessinaDenaro #MessinaDenaro #Mafia #Boss #massoneria #41bis #CosaNostra #antimafia
LINK UTILI