Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 16 aprile 2023 – Il modello classico della democrazia parlamentare, fondato sul principio di rappresentanza politica, sul suffragio universale e sul principio di legalità costituzionale è sempre più debole.
In primo luogo, per la natura stessa del metodo democratico che si pone come strumentale per legittimare qualsiasi scelta collegata agli spostamenti del pluralismo.
In secondo luogo, per lo spostamento in ambiti sovranazionali di fondamentali decisioni politiche (basti pensare, a titolo meramente esemplificativo, al ruolo passivo dei Governi Draghi e Meloni in merito al conflitto russo-ucraino).
In terzo luogo, per l’adozione, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, di sistemi elettorali tendenzialmente maggioritari come avvenuto con il c. d. “Mattarellum” nel 1993 o con abnormi premi di maggioranza ed alte soglie di sbarramento di cui alla legge ordinaria dello Stato 21 dicembre 2005, n. 270 (su cui è intervenuta la scure della Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014): lo scopo dichiarato di tali sistemi era quello di assicurare la precostituzione elettorale di una maggioranza parlamentare, un sistema politico bipartitico o bipolare, una diretta legittimazione elettorale dell’organo esecutivo e del suo vertice, identificato con il leader del partito o della coalizione vincente alle elezioni, nell’illusione che, attraverso la manipolazione del sistema elettorale, si potessero ottenere Governi stabili per l’intera durata della legislatura e l’alternanza alla guida dell’Esecutivo di due grandi partiti o coalizioni di partiti. Abbiamo visto che cosa é accaduto nel 2011 con Monti, nel 2014 con Renzi, nel 2019 con il Conte II e nel 2021 con Draghi.
L’approdo bipartitico, pervicacemente perseguito dalle forze politiche maggiori, non è mai stato realizzato. L’assetto bipolare del sistema mai definitivamente consolidato a causa delle numerose divisioni, rotture e passaggi di campo che hanno costantemente caratterizzato le coalizioni elettorali e di governo tra il 1994 e il 2021, sembra ormai tramontato in favore di un sistema politico multipolare. Nei fatti l’adozione dei sistemi maggioritari per le elezioni delle due Camere ha determinato, in questo lungo periodo di storia repubblicana, soltanto il rafforzamento dell’Esecutivo e un marcato indebolimento del ruolo e dei poteri del Parlamento senza tradursi in una più complessiva stabilizzazione del sistema politico istituzionale.
Si è voluto, in altri termini, legittimare il Governo della Repubblica con lo strumento della consultazione elettorale in antitesi al modello delineato dalla Costituzione del 1948. In quarto ed ultimo luogo, ma i punti potrebbero essere molti di più, la riduzione del numero dei parlamentari di cui alla legge costituzionale n. 1/2020, l’abuso dell’istituto della questione di fiducia per blindare i provvedimenti governativi (si pensi alle leggi di bilancio per non parlare della decretazione legislativa d’urgenza durante l’emergenza sanitaria), il venir meno del ruolo dei partiti politici nell’opera di responsabilizzazione dei parlamentari, oggi “marionette” che devono compiacere il leader di turno (altrimenti non vengono inseriti nelle liste “bloccate”) ed il cui spazio di intervento autonomo è “interstiziale” ed una generalizzata impreparazione di fondo hanno creato un solco profondo con la società.
Dalla democrazia “rappresentativa” si è passati così ad una democrazia “ratificante”.
Non c’é un’unica soluzione per porre rimedio a questa deriva, ma più azioni da porre in essere:
1) superare la visione “habermasiana” di stampo proceduralista della democrazia, che piace tanto ai neopositivisti, per accogliere quella “ordinatrice” dell’ordine dell’essere;
2) rivedere la partecipazione dell’Italia nelle organizzazioni sovranazionali, ponendo in particolare la questione del vincolo esterno (vedremo con i soldi da restituire del PNRR, dei quali solo una parte sono stati utilizzati);
3) ripensare il sistema elettorale in senso proporzionale (la legge ordinaria dello Stato 03 novembre 2017, n. 165 delinea un sistema misto dove il 37% dei seggi alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica è assegnato con il metodo maggioritario);
4) limitare l’uso della questione di fiducia da parte dell’Esecutivo;
5) diversificare la rappresentanza: non solo politica, ma anche delle competenze;
6) ripensare radicalmente le Regioni che, a seguito della legge costituzionale n. 1/1999, si sono poste in una logica concorrenziale con il centro a causa della elezione a suffragio universale e diretto dei Presidenti delle Giunte (salvo diversa previsione degli Statuti).
Se la politica, quale arte della regalità e non del consenso fine a se stesso, non ritrova il suo spazio, potremmo avere tutti i mutamenti possibili nelle maggioranze parlamentari, ma continueremo in questa penosa mediocrità.
(*) Autore – prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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