Di Coopservice 2 Agosto 2021
La contrazione degli investimenti nell’efficienza energetica industriale: non solo effetto Covid
Gli investimenti in efficienza energetica del settore industriale italiano risultano, allo stato, in sensibile diminuzione. Il dato, di per sé negativo per le ricadute sulle politiche generali finalizzate alla progressiva riduzione dei consumi energetici (l’energia più pulita è quella che non si consuma) e alla salvaguardia dell’ambiente, non è riconducibile solamente all’impatto della pandemia che ha messo in ginocchio il mondo.
Perché, dopo la crescita registrata nel triennio 2015-2017, in realtà il comparto dell’efficienza energetica industriale aveva già dato negli anni scorsi chiari segnali di frenata.
Le cause sono dunque da ricercarsi prevalentemente in difficoltà strutturali, senza limitarsi ad addebitare troppo sbrigativamente la colpa al Covid che pure, come ormai arcinoto, ha significato per molte imprese nel 2020 il blocco o la rivisitazione completa delle attività, così come il crollo della fiducia e della voglia di investire di tanti imprenditori.
È questo il punto di partenza dell’analisi del ‘Digital Energy Efficiency Report 2021’ rilasciato annualmente dall’Energy & Strategy Group, l’Osservatorio permanente del MIP (Politecnico di Milano) sui mercati e le filiere industriali dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale d’impresa in Italia.
Il Report 2021, presentato in un webinar lo scorso 29 giugno, ha visto la partecipazione in qualità di partner di 16 aziende di dimensione nazionale, tra le quali Coopservice.
Gli interventi hardware e le soluzioni software per l’efficienza energetica
Il dato iniziale è incontrovertibile. Nell’anno segnato dalla drammatica pandemia da coronavirus gli investimenti in efficienza energetica delle imprese nazionali sono scesi di circa il 20% rispetto all’anno precedente. Ma, come detto, la frenata si era già verificata nel 2018 e 2019, dopo la crescita nel triennio 2015-2017.
Il Covid ha dunque aggravato un quadro già delineato verso il basso, da qui l’esigenza di non fermarsi in superficie e individuare le cause profonde della contrazione. Complessivamente l’ammontare degli investimenti in efficienza energetica industriale nel 2020 si è attestato a quasi 2,1 miliardi di euro.
Di questi, oltre il 90% sono riferiti ad investimenti in tecnologie hardware, il rimanente in soluzioni software per il controllo ed il monitoraggio delle prestazioni dei cicli produttivi.
Gli investimenti in hardware consistono negli impianti che permettono di ridurre il consumo di energia (cogenerazione, pompe di calore, ecc.), mentre con software si fa riferimento alle soluzioni di monitoraggio e gestione delle prestazioni dei macchinari (sensori, MES, ERP, ecc.) che possono condurre sia ad una ottimizzazione del sistema produttivo che ad un risparmio dei consumi di energia.
Il calo uniforme delle due categorie di investimento nell’efficienza energetica
Entrambe le categorie di investimento contribuiscono al trend negativo 2020, con un decremento del 20% delle soluzioni hardware rispetto al -14,4% di quelle software. Zoomando all’interno di esse, il Report rileva che in ambito hardware il 20% (373 milioni di euro) degli investimenti si sono verificati sul processo produttivo, il 18% (350 mln) sugli impianti di cogenerazione, il 15% (300 mln) sui sistemi di combustione efficienti, il 12% (240 mln) in illuminazione, tra il 7 e il 10% altre voci quali sistemi HVAC (tecnologie in grado di ottimizzare le performance di riscaldamento, ventilazione, aria condizionata), motori elettrici, inverter, sistemi di aria compressa, 2% refrigerazione.
Il peso delle voci è lo stesso degli anni precedenti, il che significa che il calo ha colpito tutte le componenti della categoria hardware. Discorso simile per il software: su un totale di 168 mln di investimenti il 65% ha riguardato software di monitoraggio e sensoristica di base, e anche qui calo ha colpito in modo democratico le diverse voci.
Le ragioni della contrazione degli investimenti nel ‘sentiment’ degli Energy Manager
Dunque che cosa si cela dietro la patina degli effetti da depressione planetaria da Covid-19? Quali sono le ragioni più profonde di un trend negativo che era già in atto, nonostante la moltiplicazione degli impegni annunciati dalle aziende sul fronte della riduzione dei consumi energivori e della sostenibilità ambientale?
Secondo la Survey 2021 contenuta nel Report, riportante il ‘sentiment’ degli Energy Manager delle aziende, le barriere più rilevanti agli investimenti in efficienza energetica nel 2020 si confermano (rispetto al biennio 2018-2019) essere quelle relative agli eccessivi tempi di ritorno, all’incertezza del quadro normativo ed all’interazione critica con il processo produttivo.
I problemi generati dalla pandemia da COVID-19, nonostante i pesanti effetti negativi generati dal punto di vista economico, risultano significativamente essere solo al quarto posto, a testimonianza del fatto che per gli operatori del settore esistono ostacoli agli investimenti ritenuti più importanti.
Il crollo del rilascio dei Titoli di Efficienza Energetica (Certificati Bianchi)
C’è infatti una questione di notevole importanza che, rubricabile alla voce “incertezza del quadro normativo” segnalata dagli Energy Manager, aleggia irrisolta e di certo non contribuisce al decollo del comparto.
La tesi dell’Osservatorio del MIP è infatti che alla fase di ciclo economico già complicata si sovrappone il problema della sempre più difficoltosa applicabilità degli strumenti ideati per stimolare le azioni virtuose. I Titoli di Efficienza Energetica (TTE), altrimenti noti come Certificati Bianchi, hanno negli ultimi anni conosciuto difficoltà crescenti, in modo inversamente proporzionale ai ripetuti tentativi normativi tesi a fare decollare lo strumento.
Così il rilascio di certificati bianchi nel 2020 è risultato in calo del 41%, che si aggiunge al meno 24% del 2019, il che vuol dire che negli ultimi 2 anni il numero di certificati bianchi riconosciuti è più che dimezzato nonostante le varie riforme intervenute.
L’ultima, pubblicata con decreto sulla Gazzetta Ufficiale il 31 maggio scorso, riduce gli obblighi di certificati bianchi per l’elettrico e per il gas del 60% rispetto al 2017, taglio che sarà in parte recuperato nel tra il 2022 e il 2024.
Come funziona il mercato dei Certificati Bianchi
Per capire meglio l’importanza del calo del rilascio dei titoli energetici e del taglio normativo degli obblighi occorre forse fare un passo indietro. Il meccanismo dei certificati bianchi, entrato in vigore nel 2005, costituisce la principale modalità di incentivazione dell’efficienza energetica nel settore industriale, delle infrastrutture a rete, dei servizi e dei trasporti, ma riguarda anche interventi realizzati nel settore civile e misure comportamentali.
Si tratta di titoli negoziabili (su una apposita piattaforma di mercato o attraverso contrattazioni bilaterali) che certificano il conseguimento di risparmi negli usi finali di energia attraverso azioni e progetti specifici: un certificato equivale al risparmio di una Tonnellata Equivalente di Petrolio (TEP). Il loro carattere di negoziabilità fa sì che essi acquisiscano un valore economico definito appunto nelle sessioni di scambio sul mercato, nel quale agiscono sia i ‘Soggetti obbligati’ che i ‘Soggetti volontari’.
Il sistema si fonda infatti essenzialmente sulla previsione di obblighi di risparmio di energia primaria in capo ai distributori di energia elettrica e gas naturale con più di 50.000 clienti finali (i ‘Soggetti obbligati’) ai quali vengono attribuiti, per ogni anno, obiettivi di risparmio di TEP da raggiungere. I soggetti obbligati possono adempiere alla quota d’obbligo di risparmio in due modi: realizzando direttamente i progetti di efficienza energetica o acquistando i titoli dagli altri soggetti ammessi al meccanismo.
Così sul mercato dei TTE agli obbligati si aggiungono i ‘Soggetti volontari’, tipicamente le società di servizi energetici (ESCO) o le imprese che abbiano nominato un Energy Manager certificato, le quali liberamente decidono di realizzare interventi di riduzione dei consumi energetici che danno diritto a ricevere la corrispondente quantità di certificati bianchi.
Il circolo vizioso del calo degli investimenti e del dimezzamento dei Certificati Bianchi
Ora, la consistente riduzione del rilascio di certificati bianchi ha ovviamente comportato uno squilibrio sul mercato con gravi conseguenze verso i soggetti obbligati, i quali hanno riscontrato sempre più difficoltà nell’adempimento degli obblighi previsti dalla normativa. Ma a che cosa è dovuto questo calo? È solo una conseguenza del calo di investimenti riscontrato dal 2018?
Secondo i ricercatori del MIP il solo calo degli investimenti in efficienza energetica industriale non spiega il minor numero di certificati bianchi concessi. Piuttosto una causa indubitabile della progressiva riduzione riguarda l’esito dei procedimenti riconosciuti dal GSE. Infatti, di tutti i procedimenti terminati nel 2020 riguardanti la concessione di certificati bianchi addirittura il 90% si è concluso con un esito negativo in seguito ad attività di controllo.
Una situazione che palesa dunque difficoltà oggettive e che i ripetuti interventi normativi non sembrano potere facilmente risolvere.
Da qui, date le crescenti perplessità mostrate degli operatori del mercato, la tesi del Report: la sovrapposizione del calo degli investimenti con la difficoltà di rilascio dei certificati bianchi ha prodotto una reazione a catena in cui il calo delle concessioni ha generato una contrazione della domanda di certificati (e quindi un calo degli investimenti) e viceversa.
La grande opportunità per la ripresa dell’efficienza energetica industriale: il PNRR
Dunque una situazione complicata, avvitata su se stessa, con pochi segnali di inversione di tendenza? In realtà il MIP individua nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), recentemente approvato dalla Commissione Europea, un possibile punto di svolta. Esso infatti prevede, con il Piano Transizione 4.0, diverse misure (siano esse investimenti o riforme) relative all’efficienza energetica, il cui impatto in ambito industriale si stima potrà essere estremamente positivo. In uno scenario ‘as is’, ossia l’andamento del mercato atteso in assenza di strumenti di stimolo (cioè senza PNRR), sarebbe ipotizzabile una lieve crescita degli investimenti nel 2021 di circa il 2% rispetto al 2020, con un volume d’investimento in efficienza energetica industriale al 2023 pari ad oltre 2,3 mld di euro, corrispondente al 90% degli investimenti registrati nel 2019.
Grazie al PNRR invece è possibile invece stimare una crescita year-on-year pari al 17%, per arrivare al 2023 a quasi 3 miliardi di euro di investimenti. È evidente quindi come l’effetto di stimolo atteso dal PNRR permetterebbe di cancellare gli effetti del COVID e riprendere un sentiero di crescita degno di questo nome.
È tuttavia il massimo che ci si può attendere? La risposta dell’Osservatorio del MIP è no.
In uno scenario che i ricercatori denominano “policy driven”, dove accanto al PNRR si realizzasse una riforma “vera” dei certificati bianchi, si potrebbe raggiungere al 2023 un livello di investimenti di oltre 3,1 mld €, pari al 120% degli investimenti registrati nel 2019.
Tags: PNRR, certificati bianchi, energy efficiency report, TEE, Titoli efficienza energetica