“La nostra recente capacità di sequenziare rapidamente i genomi ha consentito alla comunità dei biologi di esplorare la ricchezza microbiologica del pianeta rivelando un mondo che prima non conoscevano. Oggi sappiamo che il rapporto fra animali, piante e microbi ha rappresentato l’elemento chiave dell’evoluzione della vita sul pianeta e che ogni specie vivente convive con un suo unico e particolare mondo microbico” commenta Margaret McFall-Ngai del Caltech di Pasadena in California “Una alleanza in cui l’ospite dipende dai microbi per la propria salute e il suo sviluppo mentre i suoi partner microbici ricevono in cambio ospitalità e nutrizione dal loro ospite”. È un rapporto di simbiosi diffuso nella gran parte degli esseri viventi che ha stimolato i ricercatori a ripensare in modo del tutto nuovo al ruolo dei microbi nel ciclo della vita e nell’ambiente. Un mondo che ora sappiamo appartenere anche ai microbi.
La lunga coesistenza di animali e piante con i microbi ha modellato in profondità il loro sistema immunitario. Quello innato ha continuato a provvedere alla difesa standard contro i patogeni ambientali, ma quello adattativo ha dovuto sviluppare l’abilità di riconoscere e di gestire la presenza dei microbi utili per l’ospite che sono essenziali per la sua salute. “Uno schema di difesa articolato su più piani non esente da rischi. Se l’insieme dei microbi dell’ospite, il suo microbiota, subiscono delle alterazioni nella loro qualità/quantità per effetto di cambiamenti ambientali come un eccessivo consumo di antibiotici, la pratica di nuovi sistemi di alimentazione o di coltivazione dei terreni è possibile che questo modello di immunità mostri limiti di funzionalità anche gravi” commenta Yasmine Belkaid Presidente in carica dell’Istituto Pasteur di Parigi. In altri termini i veloci cambiamenti in corso nell’ambiente stanno minacciando l’equilibrio evolutivo fra piante, animali, microbi e immunità. I segni sono attorno a noi.
“Come molti ambiti della vita animale e vegetale il microbioma del pianeta è a rischio. La biodiversità dei macrosistemi su scala globale come le foreste pluviali e gli oceani è minacciata dai cambiamenti ambientali e lo stesso sta accadendo nei microsistemi in modo meno evidente vista la loro scala di grandezza. Si tratta in particolare delle micorrize i funghi che vivono in simbiosi con le radici delle piante e del loro microbiota. Un secolo di raccolta dati ha rivelato un loro declino del 45%” commenta Colin Averill del Dipartimento Ambiente del Politecnico di Zurigo. A fronte di questi eventi nel 2021 l’Onu ha proclamato l’avvio di un piano decennale per il ripristino degli ecosistemi del pianeta. Si tratta di una serie di interventi scadenzati fino al 2030 coordinati a livello globale finalizzati alla conservazione, il ripristino e la gestione della diversità microbiologica del suolo. Una presa di posizione che è anche un monito perché ha un rapporto diretto con i cambiamenti climatici e la nostra sopravvivenza sul lungo periodo.
“In agricoltura bisogna sapere andare oltre ai tradizionali metodi di coltivazione che finora hanno assicurato ottimi risultati sul piano della produttività, ma hanno penalizzato pesantemente la biodiversità del suolo in particolare del microbioma e delle micorrize” dice Averill “Il futuro sostenibile deve essere indirizzato verso un netto miglioramento della biodiversità microbiologica dei terreni un obbiettivo che ha ottenuto in molte zone del pianeta risultati importanti non solo in termini di produttività, ma sulla sostenibilità dell’ecosistema”. Un passaggio necessario secondo il ricercatore svizzero perché la rottura del rapporto fra microbi e piante avvenuto con l’agricoltura intensiva degli ultimi decenni deve essere superato se vogliamo indirizzarla verso un nuovo modello di produzione che eviti gli errori del passato.
Un’ipotesi che ha già prodotto alcuni risultati significativi da alcune recenti ricerche di fattibilità. Siobham Brady del Department of Plant Biology della University of California con il suo gruppo di ricerca sono riusciti a controllare gli effetti di una infestante intervenendo sulla composizione microbiologica del terreno di coltivazione del Sorghum bicolor un cereale importante per la nutrizione umana e animale nell’Africa Sub Sahariana. La Striga una infestante che di norma può arrivare a compromettere più del 25% del raccolto annuale è stata controllata con questo intervento soft del terreno consentendo di ridurre i costosi trattamenti fitosanitari non sempre possibili per le limitate risorse economiche di quei territori e non inquinanti per ambiente e popolazione.
E’ in corso in Australia un ampio esperimento di rigenerazione del suolo secondo gli obbiettivi indicati dal piano Onu coordinato dalla Ecological Society of Australia. Sono interventi necessari e urgenti perché è un Continente caratterizzato da una estesa presenza di di terreni aridi e poveri di nutrienti che negli ultimi decenni hanno subito una forte diminuzione della biodiversità e sono diventati particolarmente vulnerabili per la riduzione delle precipitazioni annuali causa i cambiamenti climatici in corso. Il ripristino dell’ecosistema vegetale è una priorità assoluta per quei territori per fermare o poi invertire quel ciclo negativo. Frederick Dadzie del Department of Environmental Sciences della University of Sidney ha condotto alcune ricerche di base sulla riforestazione di alcune aree aride dell’Australia Occidentale, una sfida cruciale non solo per quei territori ma per tutto il Continente. Due specie di piante come le Acacie e le Spinifex tipiche di quei territori sono state messe a dimora su terreni preventivamente inoculati con particolari specie batteriche comuni di quei terreni poveri. I risultati sono tutti nelle parole dello stesso Dadzie. “Abbiamo dimostrato che l’utilizzo di microrganismi endemici dei suoli australiani ha decisamente migliorato la sopravvivenza delle giovani piantine un risultato che sicuramente va approfondito ma importante per lo sviluppo dei nostri programmi di recupero del verde e dei territori”
Il recupero della biodiversità microbiologica dei terreni con inoculi di batteri è un modello di intervento che si sta diffondendo in molti zone del pianeta in particolare in paesi come l’Australia oppure dell’Africa Sub Sahariana caratterizzati da vasti territori carenti degli elementi essenziali della fertilità o penalizzati dai cambiamenti climatici. Sono interventi che vogliono evitare gli errori del vecchio modello di agricoltura attraverso la realizzazione un nuovo approccio produttivo che mette al centro la complessità del metabolismo delle piante e del suo microbioma. In sintesi, come afferma J.Dundore-Arias del Department of Biology della California State University “Dobbiamo essere consapevoli della radicale svolta realizzata in questi anni dalla ricerca scientifica sul ruolo che svolge il microbioma della pianta e del terreno nella salute della pianta stessa, nella sua difesa contro i patogeni biotici e abiotici e nel ciclo della sua nutrizione che richiede l’utilizzo di un nuovo approccio sul piano operativo. Sarà una grande ma necessaria sfida”.
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