Non si salva nemmeno la BBC!

0
1762

Di Lamberto Colla Parma, 16 novembre 2025.  Guarda, guarda, da che pulpito! Dopo che per anni si sono scaricati rimorchi e rimorchi di letame sui social media e sulla loro presunta o chiara volontà di alterare le verità, per non si capisce quale motivo, ecco che cominciano a svelarsi gli altarini.

Un tempo, nemmeno tanto remoto, si sosteneva che la libertà di informazione crescesse all’aumentare dei media e l’occasione concessa dai social media avrebbe dovuto confermare, almeno al 99,999% l’ipotesi, proprio per il proliferare delle sorgenti sempre più difficili da “comprare” e manipolare.

Ecco quindi che, con il residuo di autorevolezza che i main stream e i “giornaloni” possedevano, sempre più messi alle corde dal digitale, hanno avviato la campagna denigratoria verso l’impalpabile mondo del web, mettendo tutto dentro il medesimo calderone con annessa etichetta “Fake News”, nel tentativo di tornare a indirizzare le scelte, economiche e politiche dei popolini sottostanti che, come pesciolini da “baracconi”, abboccano a quasi tutto.

Ma ecco che si scopre che il gasdotto north stream non era stato sabotato dai Russi, che lo avevano costruito a suon di rubli, bensì dagli ucraini con il supporto degli anglosassoni, e che Trump non aveva incitato alla rivolta a Capitol Hill, come hanno fatto credere i grandi media internazionali, BBC in prima linea.

Il fulcro dello scandalo della BBC riguarda infatti la manipolazione di un filmato trasmesso nel programma Panorama dell’autorevole emittente del Regno Unito, dove un discorso di Trump è stato montato in modo tale da indurre a credere che il presidente USA  avesse incitato i suoi sostenitori a dare l’assalto a Capitol Hill. Una ricostruzione manipolata attraverso il montaggio di due passaggi separati temporalmente.

Un modo per “far dire” qualcosa di diverso dal pensiero reale.

Ma la vera sorpresa sta nell’emittente, la BBC, considerata da sempre il simbolo dell’equilibrio e dell’imparzialità giornalistica.

Se il caso “Trump” è eclatante, esso non è l’unico. Infatti, stando a rivelazioni di un’inchiesta interna, che ha messo in luce numerose violazioni etiche e politiche come ad esempio le accuse di faziosità su tematiche cruciali come Gaza, LGBTQ+.

Le gravi accuse contenute nel rapporto, redatto dal giornalista indipendente Michael Prescott, hanno portato alle dimissioni del direttore generale della BBC Tim Davie e della CEO di BBC News Deborah Turness. Dimissioni che però non servono a sfuggire alle ire del Tycoon che ha promesso una aggressione legale per ottenere il giusto riconoscimento. Inizialmente i legali trumpiani ipotizzavano un risarcimento di un miliardo di dollari, ma nelle ultime ore sembra che si voglia alzare la posta e ben 5 miliardi.

Lo scandalo della BBC è una questione molto più grande della sola manipolazione del video di Donald Trump ma segna un punto di non ritorno per la fiducia nel giornalismo tradizionale.

In un’epoca in cui la disinformazione è in crescita, la questione della trasparenza e imparzialità dei media è più che mai centrale a dimostrazione del grande e diffuso mutamento degli strumenti tradizionali di informazione, sempre più organi di “propaganda”, dove la verità trova spazio nelle mille pieghe del giornale accartocciato per accendere il fuoco del caminetto di casa.

Come sono cambiate le cose nel panorama mediatico.

Pur di mantenere la loro posizione dominante i media tradizionali si erano inventati, per loro stessi ovviamente, il ruolo di ”censori” sotto il nome di “Fact checker”, col potere di selezionare i contenuti corretti a giudizio dell’élite di governo mondiale, per intenderci coloro che una volta all’anno si riuniscono a Davos e dispongono di risorse finanziarie in grado, addirittura,  di decidere le sorti degli Stati.

Loro, i “giornaloni” e le TV “reali” sono quelli che ci hanno convinti che la politica “Green”  (sentite cosa dice oggi Cingolani) sarebbe stata il futuro e che l’auto elettrica sarebbe stata l’ultima chance salvifica, gli stessi che il Covid era malattia incurabile e che lo pseudo vaccino mRNA l’unica salvezza anche a scapito della libertà individuale, loro che hanno omesso di informare nel modo corretto, che nel 2014 la rivoluzione di Piazza Maidan in Kiev era stata organizzata dai servizi USA (ascolta Giulietto Chiesa) e sempre loro hanno omesso di dire che gli Ucraini avevano massacrato almeno 14.000 russofoni del Donbass prima che Putin intervenisse per interrompere il massacro. Loro che hanno cercato di convincerci che dopo 40 giorni Putin era malato terminale, che aveva già perso la guerra, loro che hanno assecondato la difesa preventiva di Israele con il risultato che tutti conosciamo, e infine sono i medesimi che esaltano la “nuova democrazia” instaurata in Siria con i tagliagole “5.0”, in giacca e cravatta, gli stessi che continuano a fomentare la guerra in Ucraina sostenendo i nostri leader guerrafondai che non riescono a accettare la sconfitta e applaudono gli ultimi 7 miliardi di euro che la Van der Leyen ha, nelle scorse ore, promesso all’uomo di Kiev sommerso di scandali, e incapace, o solo distratto, di sapere dove sono finite migliaia di armamenti di cui si è perduta traccia da almeno due anni.

Recentemente anche il quotidiano Times si è occupato della delicata questione che fu motivo di argomento al congresso statunitense diversi mesi fa.
In un articolo dello scorso marzo, il quotidiano pone l’accento sul fatto che non si conosce cosa accadrà alle armi dopo la fine della guerra. L’ucraina è il paese che importa più armi al mondo. Un vero paradiso per i contrabbandieri di armi che alla fine del conflitto si troveranno migliaia di armamenti di ogni tipo a disposizione per vendere in tutto il mondo.

Sono già noti i traffici di armi dall’Ucraina verso altri paesi, diverse di queste armi sono state trovate in Messico acquistate dai cartelli della droga. Come sottolinea l’articolo, vi è grande preoccupazione che un’enorme quantità di armi provenienti dall’Ucraina del dopoguerra possa fuoriuscire dal Paese e dirigersi verso Europa, Africa e Medio Oriente.

Già a gennaio 2024 il New York Times ha dato notizia di un allarmante rapporto dell’ispettore generale del Pentagono che confermava le peggiori previsioni. Secondo il rapporto si era persa traccia di circa il 60% delle armi più sofisticate e a più alta tecnologia inviate dagli Stati Uniti per un valore di diversi miliardi di dollari. Secondo il rapporto si sarebbe trattato, dati dell’epoca, di ben 2.500 Stinger, 10.000 Javelin, 23.000 visori notturni, 750 droni: tutto materiale di cui è vietata la vendita e che fa gola ai terroristi, alle bande di ribelli e ai cartelli criminali in ogni parte del mondo, Africa, America Latina, Asia e anche Europa. Prodotti appetibili per i terroristi di tutto il mondo.

Non sarebbe la prima volta che le armi “prestate” ai rivoluzionari da parte degli USA, anni dopo venissero utilizzati per colpire proprio gli statunitensi (vedi Afganistan ad esempio).

E noi continuiamo a foraggiare la nazione più corrotta d’Europa che si vorrebbe addirittura imbottire d’armi come un bignè portandola a avere l’esercito più attrezzato del vecchio continente e contendendo il primato con la Germania che ha già dichiarato le sue intenzioni bellicistiche così come la Polonia che sta addestrando 400.000 civili.

Germania, Polonia, Ucraina, se fossi nella Russia – secondo il detto “corsi e ricorsi storici”, comincerei a temere l’invasione come si tentò molte volte nei due secoli trascorsi.

(Vignetta di Copertina a cura di Romolo Buldrini L’Aquila)

Altre vignette da AI

—————-&—————
(per seguire gli argomenti “Editoriali” clicca qui)

https://www.gazzettadellemilia.it/politica

https://www.gazzettadellemilia.it/politica/item/48299-il-%E2%80%9Cquarto-potere%E2%80%9D-sta-passando-di-mano-ma%E2%80%A6

https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/le-armi-scomparse-in-ucraina-che-allarmano-gli-usa-e-non-solo.html

Google search engine