In primo luogo, perché la rivoluzione “green” costituisce una voce importante del Piano di ripartenza e resilienza e dell’agenda 2030-2035, decisa al di fuori di qualunque legittimazione democratica (il Parlamento si trova nella mera condizione di convertire i decreti-leggi sul PNRR in leggi formali con un limitato potere emendativo). In secondo luogo, per la totale assenza di voci critiche, salvo alcune eccezioni ed alcune testate, per cui si dà per scontato (pur senza averlo dimostrato) che il dogma della nuova religione neopagana ecologista consentirà un migliore modello di sviluppo economico e sociale; ogni dibattito parte da questo assioma “scientifico” dal quale si fanno discendere “more geometrico” le varie “follie” green: dalle automobili alle abitazioni, dagli studi alle attività di impresa (pensiamo all’ultima trovata sull’istituzione del registro dei crediti di carbonio per il settore agro-forestale spacciato come la nuova “salvezza” per le aree montane).
Ovviamente questa forma di neopaganesimo richiede il suo apparato sacerdotale dato dai media, dalla politica, dai tecnici, dalla “scienza” dei più (come se il criterio quantitativo fosse rassicurazione del “vero”).
Siamo in presenza, invece, di una ideologia totalitaria, dogmatica, che viene quotidianamente alimentata da una presunta “colpa collettiva” da espiare la quale vede nelle azioni dell’uomo la causa del surriscaldamento globale e del mutamento climatico.
Se la “casa comune é in fiamme” la ragione è unicamente antropica. A nulla vale obiettare che tutte le misure su immobili e auto, quand’anche attuate pedissequamente, diminuirebbero le emissioni di CO2 di una percentuale infinitesimale sull’insieme della CO2 emessa nel mondo; che costringere tutti i proprietari di beni immobili ad adeguarli al criterio astratto e inutile delle “emissioni zero” implicherebbe spese insostenibili, abbattendo il valore degli immobili stessi e generando una fiammata inflazionistica senza precedenti; che la conversione totale alle auto elettriche determinerebbe in pratica l’impossibilità di possedere un mezzo proprio per la stragrande maggioranza dei cittadini, un’impennata della domanda di energia impossibile da soddisfare, il collasso dell’indotto automotive, la sudditanza totale all’industria e alle materie prime cinesi (su questi punti si richiamano le riflessioni del prof. Maurizio Milano).
Ovviamente nella logica del nuovo fanatismo “verde” non è ammessa critica, discussione, non sono consentite e neppure tollerate posizioni contrarie immediatamente definite complottiste, attribuendo ad esse un giudizio di valore come nel peggiore Stato etico.
É solo un tentativo ben riuscito, almeno fino ad ora, di imporre il “socialismo verde” visto il fallimento di quello “d’antan”.
(*) Autore – prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.